Ricerca e salute nell’era della globalizzazione

salute-globaleCiò premesso, occupiamoci di alcuni aspetti di bioetica che l’annuncio di Venter e l’assegnazione del Premio Nobel per la Medicina a Mario Capecchi per le sue sulle cellule staminali embrionali (ricerche che stante l’attuale legislazione, nel nostro Paese risultano essere ostacolate se non addirittura vietate) ha sollevato nel nostro Paese. Un dibattito che mi auguro possa ulteriormente svilupparsi anche sul mio blog http://giuliotarro.blogspot.com che (mi si perdoni lo spot pubblicitario) invito i presenti a visitare,

Non essendoci ancora una presa ufficiale del Comitato nazionale di Bioetica, (che proprio in questi giorni, secondo gli opinabili criteri dello spoil system ha visto la clamorosa sostituzione di ben tre vicepresidenti) mi limito qui a soffermarmi su alcuni pareri che in questi giorni hanno occupato le pagine dei giornali. Prima di inoltrarmi sul dibattito suscitato dall’assegnazione del Premio Nobel a Mario Capecchi per le sue ricerche sulle cellule staminali embrionali, è forse opportuno un breve cenno su cosa siano queste cellule.

Le cellule staminali sono cellule primitive non specializzate dotate della singolare capacità di trasformarsi in qualunque altro tipo di cellula del corpo. Secondo molti ricercatori le cellule staminali potranno potenzialmente rivoluzionare la medicina, permettendo, ad esempio, di riparare specifici tessuti o di riprodurre organi. Esistono quattro tipi di cellule staminali: una singola cellula staminale totipotente: può svilupparsi in un intero organismo e persino in tessuti extra-embrionali, i blastomeri posseggono questa proprietà; le cellule staminali pluripotenti: possono specializzarsi in tutti i tipi di cellule che troviamo in un individuo adulto ma non in cellule che compongono i tessuti extra-embrionali; le cellule staminali multipotenti: sono in grado di specializzarsi unicamente in alcuni tipi di cellule; le cellule staminali unipotenti: possono generare solamente un tipo di cellula specializzata. Le cellule staminali si classificano anche secondo la provenienza, come adulte o embrionali. Le cellule staminali adulte sono cellule non specializzate reperibili tra cellule specializzate di un tessuto specifico e sono prevalentemente multipotenti. Queste sono tuttora già utilizzate in cure per oltre cento malattie e patologie. Sono dette più propriamente somatiche (dal Greco σωμα sōma = corpo), perché non provengono necessariamente da adulti ma anche da bambini o cordoni ombelicali.

Le cellule staminali embrionali sono ottenute a mezzo di coltura, ricavate dalle cellule interne di una blastocisti. La ricerca sulle cellule staminali embrionali è ancora ai primi stadi: fare ricerca con cellule umane di questo tipo è una questione controversa: l’utilizzo di cellule staminali embrionali ha sollevato un grosso dibattito di carattere etico. Difatti per poter ottenere una linea cellulare (o stirpe, o discendenza) di queste cellule si rende necessaria la distruzione di una blastocisti, un embrione non ancora cresciuto sopra le 150 cellule; tale embrione è ritenuto, da molti, un primitivo, od almeno potenziale, essere umano, la cui distruzione equivarrebbe all’uccisione di un essere umano già concepito. Il dibattito vede dunque contrapposti coloro che preferiscono adottare, proprio per la mancanza di certezze sul momento in cui possa individuarsi la nascita dell’”essere umano”, una posizione prudente e contraria all’utilizzo degli embrioni umani per fini di ricerca, e coloro che condividono e sostengono la necessità di ricerca sulle cellule embrionali umane pur essa implicando la distruzione dell’embrione.

Di particolare interesse sono le cellule staminali ottenute da sangue del cordone ombelicale Il sangue residuo della placenta e del cordone ombelicale costituisce una fonte di cellule staminali emopoietiche adulte. Dal 1988 queste cellule staminali da cordone ombelicale sono impiegate per curare il morbo di Gunther, la sindrome di Hunter, la sindrome di Hurler, la leucemia linfocitica acuta e molte altre patologie che interessano in particolare i bambini. Il sangue è raccolto dal cordone ombelicale – sia in caso di parto spontaneo che di taglio cesareo – facendo un prelievo (in circuito chiuso sterile) dalla vena ombelicale. Una volta raccolto, ne viene calcolato il volume e la quantità di globuli bianchi, che non devono essere inferiori, rispettivamente, a 60 ml e 800 milioni (la quantità dei bianchi minimi alla raccolta è spesso diversa da banca a banca, è però comunemente accettato il fatto che ad unità congelata non debbano essere inferiori a 800 milioni). Questo sangue non viene analizzato direttamente per agenti infettivi, in quanto gli esami sierologici vengono effettuati sulla partoriente, al parto e a sei mesi dalla donazione. Viene eseguita però la caratterizzazione HLA per determinare se il ricevente sia compatibile o meno con il tessuto ricevuto. I risultati della tipizzazione HLA vengono pubblicati su dei database mondiali – per es. BMDW – accessibili da centri trapianto autorizzati per poter “avviare” una ricerca di tessuto compatibile con il proprio paziente. Il sangue da cordone subisce trattamenti ed è deprivato dei globuli rossi prima di essere conservato in azoto liquido alla temperatura compresa tra -130 e -196° centigradi per un futuro utilizzo. Al momento del trapianto il sangue viene scongelato, vengono filtrate le sostanze criopreservanti e somministrato al paziente per endovena. Questo genere di terapia, in cui le cellule staminali sono ottenute da un donatore estraneo, è detta allogenica. Quando le cellule sono ricavate dallo stesso paziente sul quale saranno utilizzate è detta autologa e quando provengono da individui identici, è chiamata singenica. Il trasferimento xenogenico tra diverse specie è molto poco sviluppato e si ritiene abbia scarse possibilità. In Italia la conservazione per uso “personale”, o più precisamente per uso intrafamiliare, è consentita solo nel caso in cui, al momento del parto, siano presenti nel neonato, nella fratria o nei genitori del neonato stesso, delle patologie che abbiano l’indicazione al trapianto con cellule staminali da sangue placentare. In questo caso si parla di donazione dedicata (o più propriamente, di uso autologo e uso allogenico correlato) ed è sufficiente presentare un certificato medico degli specialisti che seguono la persona malata. Per le donazioni dedicate i criteri di selezione e di esclusione dell’unità dalla raccolta e dal congelamento sono meno rigidi rispetto alle comuni donazioni. In caso diverso è comunque consentito, previa autorizzazione delle autorità competenti (vd Ordinanza ministeriale del 13 aprile 2006 pubblicata su G.U. del 9 maggio 2006), raccogliere il sangue placentare e spedirlo all’estero per la criopreservazione presso laboratori privati. Ricercatori in Corea del Sud hanno annunciato nel novembre del 2004 di aver sperimentato con successo terapie basate su cellule staminali multipotenti (somatiche) da cordone per permettere ad una donna paralizzata di camminare con l’aiuto di un tutore. Ciò è stato reso possibile isolando le cellule staminali dal cordone ombelicale e iniettandole nella zona danneggiata della colonna vertebrale della paziente. Il lavoro è stato svolto dal professor Song Chang-hun della Chosun University, dal professor Kang Kyung-susn della Seoul National University, e dalla Seoul Cord Blood Bank.

Le cellule staminali adulte, invece, sono cellule non specializzate che si riproducono giornalmente per fornire alcune specifiche cellule: ad esempio 200 miliardi di globuli rossi sono generati ogni giorno nel corpo da cellule staminali emopoietiche. Fino a poco tempo fa si pensava che ognuna di queste cellule potesse produrre unicamente un tipo particolare di cellula: questo processo è chiamato differenziazione. Tuttavia negli ultimi anni si sono avute prove che le cellule staminali possono acquisire molte forme differenti: è noto che cellule staminali nello stroma del midollo osseo possono trasformarsi in cellule epatiche, neurali, muscolari, renali e follicolari. Le cellule staminali adulte potrebbero anche essere più versatili. Ricercatori alla New York University School of Medicine hanno estratto cellule staminali dal midollo osseo di topi che loro dicono essere pluripotenti. Trasformare un tipo di cellula staminale in un altro si chiama transdifferenziazione. Utili fonti di cellule staminali adulte sono in realtà localizzabili in tutti gli organi del corpo. Ricercatori alla McGill University di Montreal hanno ricavato cellule staminali dalla pelle capaci di specializzarsi in molti tipi di tessuto, compresi neuroni, cellule muscolari lisce e cellule adipose. Esse sono state trovate nel derma, lo strato più profondo della pelle: queste cellule staminali giocano un ruolo centrale nella rimarginazione di piccoli tagli. Si ritiene che anche i vasi sanguigni, la polpa dentaria, l’epitelio digestivo, la retina, il fegato ed anche il cervello contengano cellule staminali, utili per la rigenerazione dello stesso sistema nervoso centrale, cervello e midollo spinale.

La questioni bioetiche sollevate dall’utilizzo delle cellule staminali sono innumerevoli: ad esempio, quelle sollevate dalle banche per la conservazione delle cellule staminali Nella maggior parte dei casi, dopo il parto, il cordone ombelicale viene gettato insieme agli altri rifiuti ospedalieri. In alcuni ospedali, è però possibile richiedere la conservazione delle cellule staminali cordonali. Le cellule contenute nel cordone ombelicale sono staminali adulte, il cui utilizzo non è più soggetto alle limitazioni e alle controversie etiche riguardanti le staminali embrionali. La normativa non specifica se è consentita anche la conservazione delle staminali cordonali del feto, in caso di interruzione della gravidanza. Le cellule staminali possono essere conservate per un massimo di vent’anni, immerse in celle di azoto liquido a -190°C. La conservazione delle cellule di un singolo individuo ha un costo di circa 2.000 euro, per cui la conservazione delle staminali di tutti neonati è un onere proibitivo per il Sistema Sanitario Nazionale.

Esiste un’importante distinzione fra conservazione autologa ed eterologa. Nella prima, donatore e ricevente sono la stessa persona, e le cellule vengono conservate e utilizzate solamente se la persona ne ha bisogno a scopo di autotrapianto; nel secondo caso, vengono donate e trapiantate al primo paziente con cellule compatibili oppure utilizzate a scopi di ricerca. Talora, la distinzione fra conservazione autologa ed eterologa è trattata in modo meno netto, intendendo per conservazione autologa anche la possibilità di riceventi diversi dal donatore, purché siano consanguinei e parenti di quest’ultimo.

Diversi Paesi hanno una legislazione che consente la conservazione gratuita delle staminali in strutture pubbliche, a patto che il donatore accetti la conservazione eterologa. La legge italiana consente la conservazione esclusivamente in strutture statali, non a pagamento, e al solo scopo eterologo. L’unica banca delle staminali si trova nel reparto di ginecologia dell’ospedale di Mantova, per un trattamento che non è di comprovata efficacia terapeutica. La conservazione autologa è possibile in strutture estere autorizzate e spesso a pagamento. Esistono siti internet nei quali viene sottoscritto un contratto pluriennale di affido, e che inviano per posta il kit per il prelievo di queste cellule dal cordone ombelicale, prelievo che deve essere richiesto in ospedale. La conservazione autologa ha costi maggiori dell’eterologa poiché la permanenza delle cellule in “ibernazione” dura in media molti più anni, potenzialmente il massimo fra la vita del donatore e il periodo di conservazione (vita utile) delle cellule permesso dalla tecnologia attuale. La conservazione eterologa impone una donazione “forzata” dalla legge, mentre quella autologa è un fattore di spreco, se si considera che una minima parte dei donatori si ammalerà e avrà realmente bisogno delle proprie staminali cordonali, nonostante l’ampiezza di impieghi possibili, e che, dopo i costi di un’ibernazione decennale, le cellule finiranno nei rifiuti ospedalieri, al pari di quelle non conservate. L’inefficienza è ancora più grave se si pensa che le cellule cordonali “cestinate” anni prima avrebbero potuto guarire un ricevente compatibile, che non aveva a disposizione staminali conservate dal proprio cordone ombelicale o da quello di familiari. La conservazione autologa ha il vantaggio della totale assenza di rigetti negli autotrapianti d’organi e tessuti, il rischio zero di contrarre nuove malattie che invece esiste, nonostante i controlli, per i trapianti da donatore diverso e compatibile, talora accettati (con malattie curabili) per la scarsa offerta, la sicura disponibilità in caso di necessità con tempi di attesa nulli. Una diffusione massiva della conservazione autologa, estesa a tutti i neonati, porrebbe in secondo piano il problema della distruzione – spreco delle staminali non trapiantate nel periodo utile, poiché quasi ogni famiglia avrebbe un donatore compatile in caso di necessità. Le staminali cordonali di un feto, in caso di aborto, potrebbero essere conservate in modo autologo (inteso nel senso più esteso) per i famigliari, oppure, se già dispongono di proprie cellule staminali, cosa probabile se la diffusione dell’autologa è massiva, destinarle alla donazione. Un secondo problema etico è posto dai progressi delle tecnologie di refrigerazione, che in futuro potrebbero rendere possibile una conservazione delle staminali più lunga della vita media, ed un trapianto delle staminali di un donatore deceduto. La cellule vengono conservate perché si prevede che in futuro saranno un elemento di cura contro linfomi, leucemie e tumori, utile nella terapia genica e tissutale, nel trattamento di patologie ereditarie.

 

 

Giulio Tarro