Come virologo mi è capitato spesso di tenere incontri nelle scuole per parlare del rischio AIDS e, più in generale, di Malattie e Trasmissione Sessuale; incontri, mi duole dirlo, caratterizzati da un palpabile disinteresse. Il motivo di ciò, forse, è da ricercare nel catastrofismo che permea l’informazione erogata dai mass media – basti pensare alle campagne allarmistiche sulla cosiddetta “Mucca Pazza” o sulla “Influenza Aviaria” – e che hanno avuto come conseguenza finale un rigetto verso elementari norme di prevenzione. A questo è da aggiungere una diffusa credenza che fa ritenere il rischio delle malattie infettive archiviato tra i retaggi del passato.
Sono stati elaborati numerosi programmi per superare questa situazione. Uno dei più ambiziosi, certamente è stato il “Peer Education e prevenzione dell’infezione da HIV”, finanziato dall’ dall’Istituto Superiore di Sanità, che ha coinvolto 1462 studenti (993 maschi e 469 femmine) di età compresa tra i 15 ed i 20 anni finalizzato ad aumentare il livello di conoscenza degli opinion leader sul tema dell’infezione da HIV, sulle MTS e sull’uso del profilattico. Nonostante le risorse, l’impegno e la certamente ottima metodologia profusa in questa iniziativa, i risultati finali sono stati sconfortanti. Analogo risultato negli USA per la più massiccia campagna di prevenzione contro le malattie e a trasmissione sessuale: quella condotta nel 2000 dal CDC di Atlanta; e ancora peggio per quella condotta dal SAMHSA (Substance Abuse and Mental Health Services Administration) nel 2008.
Perchè tanta difficoltà nel sensibilizzare gli adolescenti al rischio infettivo? Le risposte sono tante. Alcune connesse, come già accennato, alla specificità della formazione dell’adolescente che non viene più fatta, come un tempo, dalla famiglia o dagli “educatori istituzionali”, ma bensì dai mass-media o, addirittura da siti internet zeppi di incontrollabili affermazioni. Altre connesse alla particolare fase psicologica e culturale che vive l’adolescente, caratterizzata, spesso. da una insanabile voglia di sfidare la società e le sue regole o, addirittura, in alcuni casi, costellata da comportamenti autolesivi, contro i quali non servono certo le, spesso pedanti e precotte, campagne educative.
Non posso non ricordare il successo del progetto Martina, organizzato dai Lions nelle scuole superiori, nella prevenzione dei tumori senza fare spaventare i ragazzi e permettendo anche una maggiore conoscenza da parte delle famiglie.
Educare, quindi, alla minimizzazione del rischio, al rispetto di elementari norme sanitarie non è certo facile. E forse il medico, con l’acume che dovrebbe essergli proprio per la sua professione, e con infinita pazienza può essere la persona più adatta per questo scopo.
Giulio Tarro