Ancora oggi secondo uno studio de “Il Tribunale per i diritti del malato”, in Italia la terapia del dolore viene praticata in maniera adeguata solo al 10% dei malati che ne avrebbe bisogno (circa 214 mila). I numeri non cambiano se si tiene conto solo delle persone affette da neoplasie: sui 160 mila decessi registrati ogni anno il 90% necessita di cure palliative appropriate. Formazione quasi nulla per i medici, poca diffusione dei trattamenti domiciliari e mancanza di reparti specifici nelle strutture pubbliche sono le carenze che allontanano il nostro Paese dal quadro Europeo. Se si tiene conto che l’Italia ha la più alta concentrazione di anziani (il 24,5% della popolazione, secondo un recente rapporto ONU) risulta evidente che il problema tenderà ad assumere dimensioni sempre più rilevanti con il passare degli anni e con il conseguente aumento della longevità. Altrettanto sconsolante è la situazione ospedaliera. Secondo i piani legislativi, le regioni dovrebbero garantire 0,4-0,5 posti letto ogni 10 mila abitanti per le terapie palliative, ma attualmente la media nazionale e’ ferma allo 0,3, con particolari carenze nel Sud, dove vi sono territori come Puglia e Campania che non raggiungono 0,2 posti letto ogni 10 mila abitanti. Uno dei motivi di questa situazione, è da ricercare in alcuni atteggiamenti culturali che in Italia finiscono per confondere il dibattito sulle cure palliative con l’eutanasia.
Il dolore è un fenomeno complesso che si presta difficilmente a una eccessiva semplificazione. La stimolazione di recettori periferici e la trasmissione dell’impulso doloroso, attraverso vie nervose dalla periferia al sistema nervoso centrale costituisce la componente nocicettiva (cioè di sensazione negativa) dell’esperienza dolore. Ma essa stessa è sottoposta nel suo percorso a modificazioni, modulazioni, inibizioni, facilitazioni e integrazioni che rendono l’effetto di uno stesso stimolo assolutamente diverso in relazione alla diversa situazione funzionale del sistema nervoso con cui interagisce. Inoltre l’esperienza dolore è modificata nella sua percezione nel suo significato da un insieme di influenze ambientali, psicologiche e culturali. Per sottolineare tale complessità è stato coniato il termine di dolore totale in cui confluiscono aspetti fisici, psicologici, sociali, spirituali ed etici. Il dolore da cancro, per il grande coinvolgimento della sfera emotiva e per il particolare significato sociale della malattia, costituisce uno degli esempi più forti di dolore totale.
Uno dei primi dilemmi che si presentano al medico impegnato nelle cure palliative è la valutazione dell’entità del dolore. A tal fine sono stati proposti alcuni protocolli diagnostici quali valutare la credibilità di ciò che riferisce il malato; raccogliere una eventuale variazione nel tempo del tipo di dolore; valutare l’intensità e le caratteristiche del dolore confrontandolo con altri dolori già provati dal paziente; valutare gli indici di qualità di vita (ore di sonno, interferenza con il lavoro o gli hobby, performance status, ecc.); indagare sulle terapie effettuate o in atto. Nel caso di neoplasie le cause del dolore si possono così riassumere: dovute al tumore (infiltrazione dei tessuti, interessamento viscerale, ulcerazione, infezione); legate al tumore, ma non direttamente provocate (contratture muscolari, stitichezza, decubiti, micosi); legate alle terapie (chirurgica, radiante, chimica); non dipendenti dal tumore o dalle terapie (cause cardiovascolari, neuropatie eccetera). Il principio alla base del trattamento antalgico nel paziente oncologico è quello di ottenere la massima riduzione del dolore con mezzi poco tossici, poco traumatici, di facile attuazione e di basso costo economico.
Il più importante trattamento del dolore da cancro è quello farmacologico e gli analgesici di base appartengono a tre classi farmaceutiche: gli antinfiammatori non steroidei (FANS), gli oppioidi deboli e gli oppioidi forti. L’oppioide forte di scelta nel dolore oncologico è la morfina. Essa agisce bloccando la trasmissione del dolore, legandosi a recettori specifici localizzati nel sistema nervoso centrale. E’ un analgesico sicuro ed efficace: studi controllati hanno dimostrato che il dolore da cancro è controllabile con oppioidi almeno nell’80 per cento dei casi. Purtroppo la diffusione di numerosi preconcetti e la complessità delle normative che regolano la prescrizione degli oppioidi, fanno dell’Italia uno degli ultimi paesi al mondo per consumo di morfina nel controllo del dolore oncologico. Vi sono, a tal riguardo alcuni luoghi comuni da sfatare. Il più diffuso è che esso determini inevitabilmente depressione respiratoria; in realtà utilizzando dosi e modalità di somministrazione corrette questa sindrome è estremamente rara; la morfina è quindi un analgesico sicuro anche nei pazienti con disturbi respiratori. Un altro luogo comune è che essa dia inevitabilmente una perpetua dipendenza; in realtà nel malato di cancro la dipendenza, quando si instaura, è di tipo fisico; quella psicologica non si verifica praticamente mai nei pazienti trattati con morfina a scopo antalgico; alla scomparsa del dolore la terapia può, quindi, essere in qualunque momento ridotta progressivamente e infine sospesa. Un altro luogo comune è che questo farmaco determini una progressiva tolleranza; in effetti la necessità per il paziente di aumentare le dosi di morfina per il controllo del dolore è per lo più legata alla progressione della malattia; solo in un numero limitato di malati è possibile che si instauri una condizione di tolleranza che richiede il progressivo frequente aumento delle dosi. Altri sintomi legati all’uso antalgico della morfina, quali euforia e sonnolenza, si verificano raramente, lo stato confusionale, quando è dovuto a sovradosaggio è solitamente dominabile riducendo le dosi o cambiando tipo di oppioide mentre la stitichezza, costantemente presente, può essere prevenuta con accorgimenti dietetici e con l’assunzione di liquidi e lassativi.
E’ importante dunque che si arrivi a considerare il dolore fisico un segno imprescindibile nella valutazione clinica dalla persona, così come la frequenza cardiaca, la temperatura corporea, la pressione arteriosa. Così come avviene per tali parametri (denominati segni vitali) è essenziale che anche il dato relativo al dolore venga riportato regolarmente sulla cartella clinica del paziente al fine di creare una cultura diffusa in tutti i professionisti sanitari (medici e infermieri) che consideri il dolore un parametro imprescindibile per la programmazione e la gestione delle cure. Tale accorgimento, apparentemente banale e di facile realizzazione, ha invece una enorme valenza sul piano delle conseguenze, e porta inevitabilmente il personale di cura a esserne consapevole, a prenderne atto e, conseguentemente, al dovere professionale, oltre che etico, di farsene carico affinché il dolore venga controllato rapidamente.
Prof. Giulio Tarro